Il 21 agosto scorso è mancato il nostro amico Piero Rusconi. Il nostro presidente Alberto Bonfanti, nell’annunciare ad alcuni amici, la sua morte, ha scritto tra l’altro queste parole:
“Fin dall’inizio di Portofranco la sua presenza è stata costante, fedele, paziente e lieta.
Ingegnere di lungo corso si è appassionato all’insegnamento della matematica mostrando che si può comunicare il gusto e la bellezza della materia anche senza essere stati professori”.
Il nostro Giovanni Borgonovo ha voluto ricordare la sua amicizia con noi e con Portofranco così:
“Piero viene a Portofranco da quando ha aperto i battenti nel 2000. Tre volte la settimana. Fedelissimo. Sempre in grande anticipo sull’inizio delle lezioni per scambiare qualche parola con chi sedeva a fianco a lui all’ingresso. Io spesso mi sedevo con lui. Una memoria di ferro. Aveva lavorato una vita alla Telectra. Mi piaceva sentirlo parlare dei primi computer enormi e della loro evoluzione. Poi, andava in aula di matematica e chimica in fondo al corridoio, dove sedeva sempre allo stesso tavolo, senza muoversi per tutto il pomeriggio, con i ragazzi, che Momo e compagnia, gli assegnavano. 22 anni di fedeltà, di gratuità. Gli ultimi anni era spesso provato dalla malattia e dal dolore per la morte di sua moglie. Con l’apparecchio dell’ossigeno suo compagno fedele. Alcuni volontari di Portofranco, negli ultimi mesi, lo andavano a prendere a casa e lo riportavano perché da solo non se la sentiva più. Poteva rimanere a casa, pensavo, ma Piero doveva venire a Portofranco. Perché doveva venire, e fino alla fine dell’anno? E, per un compito non comandato. Cosa lo spingeva? Mi pareva esagerato. Nel donarsi gratuitamente Piero, trovava non so qual soddisfazione…
Una sosta fissa, nell’accompagnare i genitori a vedere e conoscere Portofranco, era davanti all’aula dove l’ingegner Rusconi aiutava i ragazzi in matematica. Facevo notare loro la grossa manciata di caramelle sparse sul tavolo e spiegavo che da 20 anni quell’uomo veniva a Portofranco, 3 volte la settimana e, tutti i giorni, quelle caramelle eran lì, donate a chi le prendeva. Più di 2 quintali ne aveva regalate
Entravo, prendevo le 3,4,5 caramelle per i genitori che mi seguivano e le distribuivo loro, tenendo per me, la “Moretto”, che l’ingegnere sapeva, la mia preferita. Sottolineavo la sua generosità, la dedizione a migliaia di ragazzi, una pazienza e una calma invidiabili. Una grande accoglienza per tutti. Qualche mamma si emozionava fino alle lacrime. Quando vedevano l’apparecchio dell’ossigeno restavano increduli. Molto spesso, dopo averle salutate, mi dicevano di ringraziare i volontari per il bene che facevano ai loro figli e un saluto particolare per l’ingegnere delle caramelle.
Ma, un giorno, prima di andare a casa, sedette con un viso un po’ scuro al mio tavolo e “oggi ho perso tempo” ma doveva scappare. Così lo salutai. Poco dopo arrivò il ragazzo che aveva fatto lezione con lui. “Come mai l’ingegnere mi ha detto che ha perso tempo con te?” “Professore” scuotendo la testa e battendo il pugno chiuso sulla fronte “la matematica non entra nella mia testa. È vero, non ho capito niente, abbiam perso tempo. Ma l’ingegnere è stato con me un’ora. Ha perso un’ora con me” Sembrava quasi felice. “Un ingegnere (chissà cosa guadagnava) che perde tempo con me dove lo trovi?” era contento. E poi era una cosa immeritata. Il giorno dopo racconto a Piero di quel breve dialogo e insieme sorridiamo. Quel giorno è stato più chiaro a tutti che il tempo perso con questi ragazzi è prezioso quanto quello che ottiene risultati. Forse più prezioso. E che un compito, comandato, c’è. Il bene di questi ragazzi. E, in questo bene, una prima nostra soddisfazione.
Giovanni”